Lotta Europea

Lotta Europea

lunedì 11 maggio 2015

In occasione dell'uscita del numero 12 di Lotta Europea "Terra!", dedicato in senso lato ai vari temi legati all'ambiente e alla Natura, pubblichiamo queste brevi riflessioni sul significato e sulle strategie del movimento ambientalista.

Da quando ne hanno parlato i Cinque Stelle, i temi (o almeno i termini) della decrescita felice o dello sviluppo consapevole sono entrati anche nel dibattito politico italiano e, pur con la consueta banalizzazione e semplificazione, sono arrivati anche alle orecchie e alla bocca dell’uomo comune, convinto senza opporre resistenza della necessità impellente di darsi alla raccolta differenziata, salvare le più sconosciute specie animali della foresta Amazzonica e fermare il surriscaldamento globale. Chi passa le sue giornate seduto davanti al televisore o allo schermo del PC, è bombardato continuamente da notizie allarmanti sulla proliferazione di nuove o rinnovate malattie (la “pandemia” torna ciclicamente ad occupare i titoli di testa dei TG) o sullo scioglimento dei ghiacciai e la conseguente inondazione delle città costiere (perché si sa che non ci sono più le mezze stagioni, ma non sa che l’espansione senza precedenti del virus Ebola è stata (anche) colpa dell’OMS che avrebbe ritardato di due mesi l’annuncio dell’emergenza per non interferire con gli interessi economici dei paesi interessati e con il pellegrinaggio ottobrino vero la Mecca o che la superficie dell’Artico coperta dai ghiacci è in costante aumento da qualche anno. Per farla breve, ignora che, catastrofismi a parte, l’umanità non è (ancora) in via di estinzione.
O che le risorse energetiche non sono in via di esaurimento, ma che, al contrario, secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia la capacità di cisterne e magazzini di stoccaggio del greggio U.S.A. è in esaurimento. È proprio la presunta penuria di risorse, materie prime o perfino di superficie terreste, il punto di partenza di ogni allarmismo ecologico, in nome di un rinnovato malthusianismo.  Il riferimento è a Thomas Robert Malthus, che già nel 1798 denunciava la penuria delle risorse, imputabile, essenzialmente al diverso tasso di crescita della popolazione (in progressione geometrica: 2-4-8-16-32-64) e delle risorse (in progressione aritmetica: 2-3-4-5-6-7). Una teoria di cui non è difficile smontare l’impianto, basata com’è (oltre che su calcoli e statistiche approssimativi, incompleti ed inesatti) su una concezione di sviluppo puramente quantitativa, che non tiene conto delle innovazioni che ogni volta cambiano strutturalmente il sistema che finisce per non obbedire più alle regole del precedente. Per dirlo in maniera più semplice, per aumentare i prodotti agricoli, non si è costretti necessariamente coltivare nuovi appezzamenti fino all’esaurimento della superficie terrestre, dato che le innovazioni tecnologiche sono in grado di aumentare la produttività di quanto già messo a coltura. Anche la storia ha dimostrato quanto Malthus sbagliasse: basti pensare che aveva previsto un rapido declino per le nascenti colonie statunitensi, sommerse dai continui nuovi arrivi di europei…
Se le idee malthusiane tornano ciclicamente in voga c’è però una ragione profonda, che va al di là della loro dimostrabilità o della loro validità economica-filosofica ed è legata al passo successivo compiuto dall’economista inglese quando scrive che “siamo obbligati […] a ripudiare il diritto di proteggere i poveri. A questo fine dovrei proporre un regolamento da applicare […] che nessun bambino nato […] a due anni di distanza dalla data legge possa ricevere alcuna assistenza. […] L’infante è, in termini di paragone, di poco valore per la società, in quanto altri ne prenderanno immediatamente il posto. Tutti i bambini nati, oltre il numero stabilito per mantenere il livello desiderato, sono destinati a perire, a meno che non venga fatto loro spazio con la morte di adulti. Dobbiamo facilitare le tendenze della natura a prevedere questa mortalità, invece di sforzarci stupidamente e vanamente ad impedirle; invece di raccomandare l’igiene ai poveri, dovremmo incoraggiare abitudini differenti. […] Nelle nostre città dobbiamo fare strade più piccole, case più affollate e sollecitare il ritorno della peste”. Non sarebbe stata la peste, ma la Grande Carestia Irlandese del 1845-1849 a mettere in atto quanto auspicato da Malthus, sfoltendo la popolazione dell’isola con un milione di morti e obbligando i superstiti a cercare fortuna in Nord America.
Non è necessario dimostrare come tali idee fungano da giustificazione filosofica per mantenere inalterate le diseguaglianze sociali: la povertà è ineluttabile e i poveri sono tali semplicemente a causa del loro numero eccessivo per le risorse a disposizione, motivo per cui si rende necessario porre un freno all’aumento della popolazione per evitare il depauperamento della ricchezza globale. Un’ottica tetra, per cui l’uomo non è altro che un cancro per la natura, da estirpare per ristabilire l’ordine dell’ecosistema Terra. Le derive idolatriche dell’ecologismo moderno, accumunate dalla riduzione dell’uomo a livello animale o subanimale, altro non sono che forme meno appariscenti, portabili in società, della stessa concezione di chi, lo abbiamo visto, sognava l’avvento della peste per decimare l’umanità. Magari nascondendo i propri sogni occulti dietro l’immagine rassicurante di un affettuoso panda, come quello del WWF, un’organizzazione che vanta un bilancio di decine di milioni di dollari e lavora per la Banca Mondiale, pressando i paesi in via di sviluppo a finanziare unicamente i progetti infrastrutturali a basso impatto ambientale, imprigionandoli nel loro stato di sottosviluppo. O addirittura armando i governi per difendere determinate specie animali: il Guardian ha in passato rivelato che le forze armate dello Zimbabwe, rifornite dal WWF di armi e mezzi di trasporto, hanno ucciso diverse decine di bracconieri per difendere i rinoceronti neri, le cui vite erano evidentemente da considerarsi più importanti di quelle di svariati esseri umani, per quanto criminali. Vicepresidente dello stesso WWF è stato un tempo Luc Hoffman, comandante dell’Ordine dell’Arca d’Oro per la “dedizione e la straordinaria generosità a favore della conservazione della natura e per il ruolo svolto nell’ambito delle più influenti organizzazioni ecologiste del mondo”, nonché proprietario di quell’impianto Icmesa di Seveso, colpevole dell’emissione di nubi di diossina: l’ennesima prova di come quella ambientalista non sia altro che una maschera, indossata alla bisogna dagli uomini delle maggiori lobbies e della nobiltà europea per inseguire i propri interessi finanziari e geostrategici. Sarebbe lunga la lista di questi nominativi: basti citare, tra i tanti possibili, Robert Anderson, contemporaneamente presidente della Atlantic Richfield Oil Corporation (impegnata nello sfruttamento dei giacimenti petroliferi nel mare del Nord) e principale finanziatore della “Giornata della Terra” e dell’associazione “Friends of the Earth” (200mila dollari ciascuno nel 1970), o il re Filippo Duca di Edimburgo, fondatore insieme al principe Bernardo d’Olanda proprio del WWF. Lo stesso Filippo affermò una volta che, se fosse rinato, gli sarebbe piaciuto “essere un virus letale come quello dell’AIDS, per contribuire a risolvere il problema della sovrapposizione”.
Innocui movimenti pacifisti, strenui difensori dei diritti degli animali e militanti vegani altro non sono che le forze gnostiche che tornano alla luce con vesti nuove che nascondo a malapena, almeno ad un occhio allenato, gli eterni culti matriarcali della Madre Terra: esprimono la ribellione alla concezione tradizionale dell’uomo, fatto tanto di Natura, quanto di Intelligenza e di Anima, reso padrone della Terra e dei suoi frutti. A tal proposito, come spesso accade, la tradizione cristiana si pone a prosecuzione e compimento di quella greco-romana, come dimostrato, ad esempio, dalle parole di Lattanzio, apologeta cresciuto in ambiente pagano: "Gli stoici affermano che il mondo è stato fatto per l’uomo, e con ragione, perché gli uomini godono di tutti i beni che esso racchiude in sé. Ma perché l’uomo stesso sia stato creato e quale utilità abbia da lui quella artista costruttrice che è la provvidenza, gli stoici non lo hanno spiegato. Voglio dunque esporre quell’importantissima verità che mai i filosofi, che pur hanno detto il vero, hanno potuto scoprire, perché non seppero dedurre fino in fondo le conseguenze. Il mondo è stato creato da Dio, perché nascesse l’uomo. Gli uomini sono stati creati, perché riconoscessero Dio come padre: in ciò consiste la sapienza. Essi riconoscono Dio per onorarlo: in ciò consiste la giustizia. Essi lo onorano, per riceverne il premio dell’immortalità. Ricevono poi il premio dell’immortalità, per servire Dio in eterno. Vedi dunque come tutto è concatenato: il principio con il mezzo, e il mezzo con la fine?"
L’uomo fa parte di quell’infinita varietà di cose, complessa ed unitaria, che risponde al nome di Natura e che, perché opera di Dio o perché principio di sé, ha la vita in sé. Ma a differenziare l’uomo dalle pietre, dalle piante e dagli animali c’è la sua intelligenza, compresi gli afflati per l’ignoto non consapevole al di là della sua portata, la commozione spirituale e tutti i movimenti psicologici: è questo l’elemento discriminante della natura umana, che investe anche quei fenomeni propri di tutti gli esseri viventi, per cui, ad esempio, la continuità della specie è nell’uomo illuminata dall’ideale dell’amore. E c’è infine l’anima, il suggello di Dio, che obbliga l’uomo ad una dimensione teologica della sua esistenza che non può essere circoscritta alla storia, al visibile e al contingente.
Sono queste tre dimensioni, tra loro intimamente correlate, a fare dell’uomo un Uomo. Qualsiasi pretesa di reductio ad unum (l’uomo a una dimensione, direbbe Marcuse) ha conseguenze drammatiche ed in ultima istanza nega la realtà più profonda dell’individuo. Se l’uomo occidentale appare prigioniero della Macchina che con la sua intelligenza ha creato per vivere con maggiore comodità, la sua liberazione non consiste in un ideologico ritorno alla natura inteso come spoliazione di quanto c’è di superiore in lui: per farla semplice, un gatto o un cane non hanno il suo stesso valore, come vagheggiato dagli ecologisti militanti.
Occorre al contrario che l’uomo riscopra la sua dimensione ed il suo ruolo che è quello di governo e di controllo tanto della macchina quanto della Natura, che deve e può essere rispettata ma che allo stesso tempo può e deve essere sfruttata per raggiungere felicità e benessere. È necessario ritornare a livelli di autonomia dell’uomo rispetto all’ambiente artefatto che le macchine hanno costruito per rendere accettabile un territorio ed un’esistenza da tempo avviati alla decadenza, a livelli di equilibrio tra persona e ambiente, nel quale le macchine abbiano un posto sussidiario e l’Uomo sia il fine e non il mezzo delle azioni.
Read More

lunedì 16 marzo 2015

"Se vincerò le elezioni non permetterò che sia creato uno Stato palestinese", "Io e i miei amici del Likud preserveremo l'unità di Gerusalemme nella sua integralità. Continueremo a fortificare Gerusalemme perché non la si possa dividere e perché resti sempre unificata": indietro nei sondaggi, per raccattare i voti degli indecisi sono queste le promesse messe in campo da Benjamin Netanyahu, che da Har Homa (uno degli insediamenti sorti intorno a Gerusalemme Est e considerato illegale da gran parte della comunità internazionale) ha anche annunciato nuovi insediamenti intorno alla capitale
Si voterà domani e con lo spettro dell'ISIS alle porte e le timide aperture americane a Teheran, era facile prevedere che il premier in carica non suonasse le corde della sicurezza e della politica estera per presentarsi come l'unico baluardo di Israele contro la minaccia islamista. Il problema, semmai, è che a guidare la probabilmente vincente coalizione dell'Unione Sionista c'è Isaac Herzog, che, nonostante l'appoggio di Shimon Peres ed Ehud Barak (che lo ha definito "saggio, esperto e responsabile") e nonostante prometta di rimettere in moto il processo di pace con i palestinesi, appartiene a quell'establishment che negli ultimi 70 non è riuscita a raggiungere questa pace per la quale non si è mai realmente combattuta: figlio di Chaim Herzog (direttore dei servizi segreti militari tra il 1959 e il 1962, governatore della Cisgiordania, ambasciatore ed infine presidente dal 1983 al 1993), nipote di Yitzhak HaLevi Herzog (il nonno è stato rabbino capo d'Irlanda e poi del mandato britannico in Palestina) e di Abba Eban (lo zio è stato ministro degli Esteri con Golda Meir negli anni delle guerre dei Sei Giorni e dello Yom Kippur), è già stato ministro del Welfare, della Diaspora, dell'Abitazione e del Turismo nonché sottosegretario di governo con lo stesso Ehud Barak.
Speriamo di sbagliarci, ma non è difficile prevedere una ripresa delle tensioni con i Palestinesi.
Read More

venerdì 13 marzo 2015

Pechino ha recentemente comunicato ufficialmente le cifre della spesa militare previste per il 2015: 150 miliardi di dollari (a cui vanno sommati i denari spesi per i settori della ricerca e sviluppo e della polizia paramilitare, top secret a Pechino), con un incremento del 10,1% rispetto all'anno precedente (132 miliardi $). Si registra dunque una flessione nel trend di crescita (passata dal +12,2% del 2014 sul 2013 all'attuale +10,1%) che, se letta parallelamente al diminuito tasso di crescita del PIL stimato a +7% nell'anno in corso (era +7,4% nel 2014 e +7,7 nel 2013), non basta a tranquillizzare gli USA, ancora gli unici antagonisti in grado di contrastare l'ascesa militare ed economica del dragone, né i suoi avversari regionali nel Mar Cinese Orientale. Tanto più se si considera che i maggiori investimenti saranno effettuati nell'ammodernamento della marina: la vulnerabilità rappresentata dai 14000 chiliometri della costa orientale (sfruttata dai giapponesi nel secondo conflitto mondiale e dagli inglesi prima di loro) non può certo al momento dirsi coperta da una flotta che possiede all'attivo una sola portaerei (prodotta nel 1998 in Ucraina ed entrata in funzione nel 2012).
Altro settore di sviluppo è quello delle capacità cibernetiche e della tecnologia satellitare. A tal proposito, non passano inosservate le reciproche accuse ed i reciproci casi di ciberspionaggio con gli USA ed il pià recente arresto di due operai della base militari di Dalian, accusati di aver venduto segreti militari a spie straniere. Due vicende che, nella loro diversità, mostrano la vulnerabilità dello spionaggio e del controspionaggio, che ha spinto il governo ad adottare nuove misure legislative, che, sfruttando l'allarme terrorismo, colpiscono i propri cittadini sorpresi a collaborare con organizzazioni o individui stranieri che conducono attività di intelligence.
A proposito di terrorismo. Nessuno si meravigli quando si parlerà di Isis anche in territorio cinese: i contatti tra gli uiguri e i veterani della guerra in Siria sono già stati denunciati da Pechino e la regione dello Xinjiang è sufficientemente ricca di petrolio perché la presenza di cellule terroristiche sia sfruttata per giustificare la presenza dell'esercito ed il rinnovato controllo governativo sul territorio, proprio come accade più ad Est con lo Stato Islamico.
Read More

martedì 2 dicembre 2014

Diciamolo apertamente: noi non crediamo alla teoria dello “Scontro di Civiltà”, professata da un certo tipo di intellighenzia guerrafondaia, impartita a suon di propaganda nelle menti fragili e malleabili dell’uomo moderno e divenuta un dogma, un’ideologia incontrovertibile. Non sosteniamo la tesi secondo la quale le tensioni del nostro tempo sono dovute ad un conflitto epocale tra Occidente e Oriente, tra Cristianesimo e Islam, tra Democrazia e Terrorismo. Riteniamo piuttosto che questi elementi, invece che collidere e combattersi, siano intrecciati a filo doppio in una strategia studiata a tavolino e tesa alla creazione di un Caos su scala mondiale dal quale trarre beneficio.
Siamo giunti alle fasi finali di questo processo di guerra in nome del “Divide et Impera”, di cui l’attentato dell’11 Settembre ha segnato il punto di partenza. Allora lo spauracchio rappresentato dal Terrorismo islamico aveva un nome, una sigla che indicava il Male all’ennesima potenza: Al Qaeda, organizzazione terroristica creata e voluta, sul finire degli anni settanta, dagli Stati Uniti, ai quali serviva una forza da armare per contrastare i sovietici che avevano occupato l’Afghanistan. Non fu che l’inizio e da allora si sviluppò un proficuo rapporto, coltivato con la mediazione degli emiri sauditi e di Israele, che nel tempo porterà alla nascita, tra le tante, di una “cordiale amicizia” tra Osama Bin Laden e la famiglia Bush che si incrinerà improvvisamente alla fine del XX secolo e porterà agli attacchi alle Torri Gemelle ed al Pentagono. In questa occasione l’America si sentì colpita al cuore e di fronte ad una simile tragedia non poté che reagire dichiarando guerra totale ad una certa fetta di mondo.
La tesi del false flag, ovvero di un attentato fabbricato in casa propria per partorire un pretesto che servisse ad entrare in una nuova fase bellica, prese corpo fin da subito: inizialmente tacciata di follia complottista, questa idea ha pian piano assunto consistenza e credibilità.
Poco prima dell’11 Settembre i neocon repubblicani – tra i quali ricordiamo i nomi di Donald Rumsfield e di Paul Wolfowitz – stilarono un documento in cui si sottolineava l’esigenza di un attentato su suolo americano utile alla nuova strategia: prese il nome di “Project for the New American Century” ed auspicava apertamente “una nuova Pearl Harbor”. Non un riferimento casuale: i piani del famoso attacco giapponese alla flotta americana nel Pacifico, che causò perdite gravissime, furono scoperti con largo anticipo dall’intelligence militare dello Zio Sam, che lasciò comunque che l’incursione nipponica avvenisse, per avere il pretesto ideale per entrare in guerra. Stranamente nel 2001 accadde proprio quello che auspicavano Rumsfield & Co, e a metterlo in atto furono dei pericolosissimi terroristi islamici, ex amici degli Usa, addestrati ed armati, fino a poco tempo prima dalla CIA. Sarà malafede, ma noi non crediamo a questo tipo di coincidenze.
Il piano poteva quindi avere inizio: l’obiettivo primario era prendere possesso di determinate aree strategicamente, geopoliticamente ed economicamente fondamentali. Gestire gran parte dei pozzi petroliferi mondiali, dividere e disarticolare per linee etniche e religiose gli Stati Islamici più importanti: progetto neanche troppo originale, comparso nel 1992 sulla rivista israeliana Kivunim.
Con la scusa di dare la caccia a Bin Laden gli americani ed i loro alleati accendono focolai di guerra in ogni angolo del mondo, finanziano ed armano “ribelli” contro regimi laici che fino a quel momento avevano garantito una vita più che dignitosa al proprio popolo, ordinano e mettono in pratica “primavere arabe” e “rivoluzioni colorate”. Per cacciare i talebani, distruggono l’Afghanistan e si appropriano dei campi di oppio. Per debellare il pericolo delle armi di distruzione di massa, rivelatosi poi una fandonia colossale, attaccano e radono al suolo l’Iraq, per poi giustiziare Saddam Hussein. Successivamente è il turno della Libia e di Gheddafi. Attualmente questi paesi sono nel Caos più totale, lasciati nelle mani di bande di criminali al soldo di Washington e soci. Ci hanno provato anche in Libano, Iran e Siria, su ordine di Israele, l’unica democrazia del Medioriente, e col supporto fondamentale degli sceicchi: solo una forte opposizione dei governi e dei popoli sotto attacco ha evitato ulteriori sciagure. Senza dimenticare la Striscia di Gaza, scenario dell’atroce genocidio del popolo palestinese, anche questo praticato col pretesto ed in nome di un’improbabile autodifesa dai razzetti di Hamas.
Dopo più di un decennio di orrori e fallimenti militari, nonostante tutto, fanno ancora leva sul terrorismo islamico, come generatore di tensioni e paure collettive: esaurito Al Qaeda, dopo la presunta morte del presunto Bin Laden, bisognava pensare a un nuovo nemico, ed ecco salire alla ribalta mondiale l’ISIS, un accozzaglia di sgozzatori urlanti, guidati dal nuovo Osama, Al Baghdadi, autoproclamatosi Califfo, e sospettato di essere un agente israeliano. Neanche a dirlo, queste orde assetate di sangue, improvvisamente divenute nemiche dell’America e del mondo libero e democratico, fino a poco tempo fa erano addestrate da CIA e Mossad in appositi campi militari, armate di tutto punto e lanciate in uno scenario complesso come quello siriano, dove avevano il compito di ribaltare con la forza il governo laico di Assad. Ora che sono passati tra i “cattivi” li bombardano, guarda caso proprio su territorio siriano: che abbiano trovato il modo per attaccare i punti nevralgici di uno Stato che fino ad ora ha dato loro filo da torcere? Poco prima, per non farsi mancare nulla, hanno dato un’altra rastrellata in Iraq, con la scusa di proteggere le minoranze cristiane e gli yazidi curdi, di cui non si erano mai preoccupati prima.
E così torniamo all’assunto iniziale.
Non è in corso una guerra santa e non siamo attaccati e minacciati dall’Islam tutto, ma da un certo Islam: quello plasmato e manipolato dalla premiata ditta Usa-Israele-Arabia Saudita, specializzato in decapitazioni cinematografiche, stile hollywoodiano, praticate da boia dall’accento inglese. Quello composto da fanatici sunniti, in particolar modo da wahabiti ed altre derivazioni deviate del sunnismo: è questo il tipo di Islam che stanno usando per terrorizzare le vite borghesi degli occidentali e degli europei in particolare.
Nella stessa direzione viaggia la demonizzazione della Russia: hanno scelto, loro per noi, che Putin rappresenta un male da debellare, un ennesimo tiranno da ribaltare. La Russia è un altro paese sovrano che vorrebbero smantellare e frazionare in etnie (non riescono ad essere originali) perché rappresenta uno Stato forte, in grande ascesa, in grado di imporsi senza scendere a patti. Putin si sta dimostrando, ogni giorno che passa, uno statista serio e coscienzioso, che ha a cuore gli equilibri geopolitici e sociali e la stabilità mondiale. Un uomo che ha già inferto loro dure sconfitte diplomatiche, tra le quali spicca la brillante mediazione nella questione siriana grazie alla quale è stata evitata una guerra certa. Un capo di stato attento a salvaguardare le tradizioni e l’identità del suo popolo, pronto a battersi duramente contro la deriva morale e culturale in cui hanno catapultato il mondo intero. Non possono permetterlo, e così nel corso dell’ultimo periodo hanno alimentato il terrorismo ceceno, fomentato l’indipendenza delle repubbliche ex sovietiche, aizzato la Georgia, organizzato le rivoluzioni colorate, finanziato la rivolta ucraina e armato il popolo di Piazza Maidan. Hanno piazzato batterie di missili che puntano Mosca e hanno imposto sanzioni economiche. In pratica deciso che la Russia va isolata, politicamente e strategicamente, perché non si piega alla loro idea di nuovo assetto mondiale. Il martellamento mediatico rispolvera termini da guerra fredda e ci impone una visione vecchia di decenni e decenni: la Russia fa parte dell’asse del Male e gli Usa difendono gli interessi del mondo libero.
E l’Europa cosa fa? Che domande! Quello che gli riesce meglio da 70 anni a questa parte: servire i propri padroni. Offre basi, partecipa a guerre non sue, avalla bombardamenti, appoggia sanzioni economiche andando contro i propri interessi, attua politiche dettate dagli uffici di Washington e Tel Aviv, viene spolpata dalle iene del FMI e dagli sciacalli della BCE. Senza fiatare. E gli europei non si accorgono di nulla, troppo impegnati ad avere paura dei terroristi islamici che minacciano di occupare le nostre capitali e di punire gli infedeli sgozzando gli uomini e violentando le donne.
Ma state sereni, dormite sonni tranquilli, ci pensano gli Stati Uniti, Israele & soci, insomma i Buoni, a difenderci dai terroristi musulmani cattivi.

Li hanno creati apposta. 
Read More

martedì 21 ottobre 2014


Read More

lunedì 20 ottobre 2014

Le cifre diramate dal ministero del Lavoro sono di quelle che mettono i brividi: nel secondo trimestre 2014, tra aprile e giugno, su 2,4 milioni di rapporti di lavoro cessati (per fine del contratto, raggiungimento dell'età pensionabile, dimissioni del lavoratore o licenziamento) sono solo 381mila, pari al 15%, quelli che hanno avuto una durata superiore a un anno. Il 40% dei lavori cessati (956mila) erano durati meno di un mese, e tra questi vanno contati anche i 403.760 lavori durati un solo giorno (15% del totale). Di fronte a questi, sono quasi fortunati coloro che rientrano tra i 170.507 casi di contratti durati 2-3 giorni.
Numeri che non hanno bisogno di commenti a latere, se non di un grido fermo ed indignato: no al precariato, no alla precarietà!
Read More

giovedì 12 giugno 2014

Lotta Europea sarà presente con uno proprio stand alla IV edizione di Comunitaria, appuntamento annuale delle comunità militanti. Vi aspettiamo numerosi!

www.comunita-ria.it
www.facebook.com/comuni.taria.9


Read More

domenica 8 giugno 2014

Sulle reali cause delle violenze ucraine c'è un dettaglio illuminante che (forse proprio perché così illuminante) è sfuggito ai più: la rivolta di piazza Maidan è scoppiata quando l'ex presidente Yanukovich ha rifiutato le proposte di associazione alla UE e ha lasciato intendere di voler aderire al progetto di Unione Eurasiatica lanciato da Putin e al quale hanno già risposto positivamente il bielorusso Lukashenko ed il kazako Nazarbaev. Si tratta di creare uno spazio di cooperazione economica e commerciale in uno spazio politico e geografico abitato da 170 milioni di persone, forte di scambi commerciali fra i tre paesi membri pari 66,2 miliardi di dollari e, soprattutto, di riserve di gas e di petrolio pari rispettivamente al 20 e al 15% di quelle globali. Un tesoro che ha attirato l'attenzione di Armenia, Kirghizistan e Tagikistan, pronti ad aderire al progetto, e della ben più potente Cina, che, dopo gli accordi siglati con Mosca in materia energetica e finanziaria, è pronta ad investire in quella "rete di trasporti e percorsi logistici d'importanza non solo regionale ma globale" promessa da Putin come conseguenza naturale dell'Unione. Ora che il posto di Yanukovich è stato occupato da Poroshenko, pronto (e prono) a riaprire le trattative con Washington e Bruxelles, la nuova creatura di Putin dovrà fare a meno della sua Ucraina e del suo connaturato ruolo di porta dell'Europa e corridoio energetico.
Read More

martedì 3 giugno 2014


Read More

giovedì 15 maggio 2014

La Cina, è noto, ha fame di energia per sostenere la propria industria manifatturiera e di conseguenza la propria irrefrenabile crescita economica: nella speciale classifica dei principali consumatori di energia, ha ormai scavalcato gli Stati Uniti e conquistato la vetta, con 2735 tonnellate equivalenti di petrolio (il 22% dei consumi mondiali).  Il 13% del suo fabbisogno energetico è soddisfatto tramite importazioni: in controtendenza rispetto al rivale americano, che ha visto scendere il proprio tasso di dipendenza dal 21% al 17% nel biennio 2011-2012, il tasso cinese è più che raddoppiato rispetto al 6% del 2011. Infine, va considerato come attualmente la Cina derivi la propria energia essenzialmente dal carbone (68% del totale) piuttosto che dal petrolio o dal gas naturale (5%).
Di fronte a questi dati, la strategia di Pechino per assicurarsi un certo grado di stabilità non può che strutturarsi su una direttiva duplice: da una parte la diversificazione del proprio mix energetico (a favore di materie prime più conveniente e meno inquinanti) e dei paesi fornitori, dall'altro lo sviluppo della produzione interna.
Nell'ambito del primo obiettivo, quello della diversificazione delle fonti, rientrano i recenti accordi siglati con la Russia che, per parte sua, a tutto l'interesse ad aprire i propri mercati di export a Oriente, stante la situazione critica con l'Ucraina e l'Europa: il contratto di 25 anni sottoscritto tra Rosneft e Cnpc ha ad oggetto la fornitura di 365 milioni di tonnellato di petrolio (per un valore totale di 270 miliardi di dollari), mentre si stringono i tempi per un'ulteriore accordo trentennale tra Gazprom e Cnpc per la fornitura di 28 miliardi di metri cubi di naturale, destinati a crescere nel tempo fino ad un massimo di 68 miliardi.
Dall'altra parte, è notizia di questi giorni lo scontro tra Cina e Vietnam a seguito dell'avvio delle perforazioni cinesi in prossimità delle isole Paracel, contese tra Cina, Vietnam e Taiwan: è la prima volta che un'azienda cinese conduce da sola un'attività di perforazione in mare aperto. Lo scopo è chiaro, come chiaro era nel caso della sua nuova Air defense identification zone estesa fino alle isole Senkaku rivendicate da Tokyo:  estendere il più possibile i propri confini su acque in cui passano le principali rotte commerciali internazionali e che nascondo dai 23 ai 30 miliardi di tonnellate di petrolio e 16 trilioni di metri cubi di gas naturale.
Read More

mercoledì 7 maggio 2014

Se non ci fosse il calendario a contraddirlo, qualcuno potrebbe credere di vivere nel 2001, all'indomani dell'11 settembre, quando Bush lanciava al mondo la sua dottrina politica basata sui due pilastri della guerra preventiva al terrorismo e dell'azione unilaterale. Anche se Bush non è più al potere, rimpiazzato da un presidente coloured idolatrato (almeno inizialmente) dall'intelligentia e dalla società civile tutte, nulla sembra cambiato, come i recenti fatti nigeriani stanno a dimostrare.
Nel mese scorso, a Chibok, nella regione Nord-Orientale del paese africano, 223 studentesse sono state rapite per essere vendute come schiave dai miliziani islamisti di Boko Haram (letteralmente, "l'istruzione occidentale è peccato"), gli stessi che la settimana scorsa hanno attaccato la città di Gamboru Ngala, distruggendo il mercato locale e uccidendo tra le 200 e le 300 persone. Palla presa al balzo, cinicamente, da Obama che ne ha approfittato per lanciare una nuova crociata contro il terrorismo islamico: "Dobbiamo affrontare il problema di simili organizzazioni che portano il caos nella vita quotidiana della gente". Detto fatto: l'intervento unilaterale, senza alcuna preventiva risoluzione ONU, è pronto ed è già stato avviato. Il portavoce della Casa Bianca Jay Carney ha affermato che è pronta a partire per il continente nero una task force composta da personale dell'esercito e della polizia specializzato in intelligence, investigazioni, negoziazione, condivisione delle informazioni e assistenza alle vittime di rapimento. A metterci i militari, per un'azione boots on the ground, ci penserà il Regno Unito, pronto ad inviare a seguito di una riunione notturna del Cobra (il comitato governativo per le emergenze) uomini delle forze speciali, mentre Hollande ha già promesso che "anche la Francia farà di tutto per aiutare la Nigeria", precisando che "una squadra specializzata con tutti i nostri mezzi nella regione est è a disposizione della Nigeria".
L'ennesima dimostrazione che, repubblicani o democratici, poco cambia nella politica estera statunitense.
Read More

giovedì 1 maggio 2014

L'agenzia statunitense Standard & Poor's ha annunciato di aver abbassato il rating russo sull'affidabilità creditizia dal livello BBB a BBB- e quello di lungo termine in valuta locale da BBB+ a BBB: in altre parole, un giudizio appena un gradino sopra la soglia di vulnerabilità di un investimento. E altri declassamenti sono all'orizzonte perché, come si legge nella nota di S&P's, "La situazione geopolitica tesa tra Russia e Ucraina potrebbe risultare in ulteriori, significativi deflussi sia come capitale estero sia nazionale dall'economia russa, compromettendo così le prospettive di crescita già deboli del Paese».
Una decisione, quella di S&P's, inserito in un più ampio attacco economico-finanziario condotto dagli Stati Uniti (con la complicità dell'Occidente tutto) nei confronti di Mosca. Un attacco che non può essere sottovalutato e Putin non si è fatto trovare impreparato. Infatti, il presidente, mentre dichiarava che le sanzioni imposte dagli U.S.A non avranno un impatto critico sul Paese, tesseva le reti diplomatiche per rispondere all'offensiva sul fronte del rating. E' di questi giorni, infatti, la notizia della fusione dell'agenzia di rating cinese Dagong e della russa Rus-Rating in una joint-venture di dimensioni tale da fare concorrenza alle omologhe statunitensi.
Ci vorrà tempo per erodere spazio alla "troika" SP's, Moody's e Fitch, ma a Mosca sanno portare pazienza.
Read More

lunedì 7 aprile 2014


Read More
Lotta Europea n°10

Clicca sull'immagine ed inizia a sfogliare la rivista
Read More

martedì 1 aprile 2014

Tra le 439 centrali nucleari attive nel mondo al luglio del 2008, il 75% dei reattori ha più di 20 anni di vita: considerando che essi sono stati originariamente progettati (ed autorizzati) per un funzionamento fino a 40 anni, e che comunque la loro vita utile non potrebbe essere estesa oltre i 50/60 anni, è evidente che fra un paio di decenni si verificherà un pesante crollo della produzione energetica.
Nel mondo, il Nord-America e l'Europa, essendo le prime regioni ad aver avviato un programma nucleare, saranno anche le regioni maggiormente colpite da un'uscita di servizio a 40 anni delle loro centrali. In particolare, in Europa il 30% dei reattori ha una vita compresa tra 25 e 35 anni, il 60% tra 15 e 25 ed il 10% meno di 15 anni. Questo significa che l'Europa è destinata a perdere nel 2025 i quattro quinti del contributo nucleare, pari a circa il 25% dell'attuale produzione di elettricità. Si preannunciano quindi seri problemi al sistema elettrico europeo, dal punto di vista delle forniture di materia prima, di competitività e di sostenibilità ambientale. Infatti, i passati progetti di estensione delle licenze esistenti e di installazione di nuovi reattori sono stati ridimensionati a seguito dell'incidente di Fukushima, in conseguenza del quale paesi come la Germania e la Svizzera hanno addirittura accelerato i processi di dismissione delle centrali più vecchie e sospeso i programmi nucleari. Anche in Italia, il governo, in data 31 marzo 2011, ha abrogato le disposizioni prese nel biennio 2008-2010 che prevedevano l'edificazione di nuovi impianti nucleari nel nostro territorio dopo lo stop del 1987, ancor prima che un referendum (12-13 giugno 2011) cancellasse le norme che avrebbero consentito la produzione di energia atomica.
Poiché le centrali in via di chiusura sono essenzialmente centrali di base (nucleari e a carbone), è impensabile che esse possano essere sostituite da impianti eolici o solari: ne consegue, evidentemente, una crescente dipendenza dell'Europa dai combustibili fossili, il che equivale a dire una crescente necessità di una partnership privilegiata con Mosca e con i paesi dell'area caucasica.
Read More

mercoledì 19 marzo 2014

Il quotidiano laburista inglese "Independent", che Wikipedia dichiara diffuso tra "ambientalisti, pacifisti e cittadini insofferenti della monarchia" e che non può essere tacciato di appoggio a Putin, ha rivelato l’esistenza di 85 conti bancari riferibili a Yulia Tymoshenko e ai suoi più stretti parenti, nei quali, nell'ultimo ventennio, sarebbero confluiti circa 200 milioni di dollari, provento delle posizioni politiche ricoperte dall'ex premier Pavlo Lazarenko e dalla stessa Tymoshenko, allora leader del colosso energetico Uesu.
Questa la verità sulla guida della rivoluzione arancione, ancora oggi al centro delle turbolenze ucraine.
 
Qui il link all'articolo originale.
Read More

lunedì 3 marzo 2014

E' ormai evidente che il sistema produttivo della Cina si sta evolvendo e che questa evoluzione comporterà pesanti ripercussioni sui rapporti con gli Stati Uniti in generale e con il finanziamento del deficit americano in particolare. Secondo le analisi e le prospettive di studio, rispetto ai settori manifatturiero ed edilizio, che hanno rappresentato fino ad oggi il vero motore della crescita di Pechino, il settore dei servizi ha bisogno di circa il 35% dei posti di lavoro in più per unità di PIL: se ne desume che, nonostante i suoi tassi di crescita annua siano scesi intorno al 7/8%, il governo cinese potrebbe comunque raggiungere gli obiettivi prefissati nella lotta alla disoccupazione e alla riduzione della povertà. In altre parole, i suoi consumi interni sono destinati a crescere, deprimendo, per compensazione, i risparmi in eccesso, ponendo Washington di fronte ad un tragico interrogativo: chi finanzierà il deficit di bilancio degli Stati Uniti? E a quali condizioni? Sono domande poste in prospettiva futura, a cui però l'America dovrà rapidamente trovare una risposta. Perché nel frattempo la Cina ha recentemente dichiarato di avere ridotto la propria esposizione in titoli del Tesoro Usa (che ammonta attualmente a 1,27 trilioni di dollari) per una cifra pari a 47,8 miliardi di dollari, mentre nel report Gold Survey 2013 pubblicato dalla Gold Fields Mineral Services è descritto il “più grande movimento di oro nella storia, in termini di valore”, diretto proprio in Cina.
Read More

domenica 12 gennaio 2014


Read More

sabato 11 gennaio 2014

Lotta Europea n°9

Clicca sull'immagine e sfoglia la rivista
Read More

martedì 22 ottobre 2013

La Cassazione, accogliendo il ricorso di Luisa Davanzali, erede di quell'Aldo Davanzali già proprietario dell'Itavia ha "definitivamente accertato" il depistaggio sulla tragedia di Ustica del 27 gugno 1980: ribaltato quindi il verdetto della corte d'appello che aveva escluso "l'eventuale efficacia di quella attività di depistaggio".
E' così crollato definitivamente il teorema giudiziario che voleva il DC-9 caduto a largo di Ustica per il cedimento strutturale di una di quelle "bare volanti" che proprio Aldo Davanzali avrebbe lasciato volare stante la crisi commerciale della sua compagnia aerea. Ora un nuovo processo civile dovrà, al contrario, valutare e giudicare le responsabilità del governo, e dei ministeri della Difesa e dei Trasporti, nel fallimento dell'Itavia, causato (o comunque accelerato) dall'attività di depistaggio che, nascondendo le reali cause del'esplosione, avrebbe determinato il discredito dell'impresa.
Ma quali sono queste reali cause dell'esplosione? Ora lo dice anche la Cassazione: "un missile sparato da aereo ignoto, la cui presenza sulla rotta del velivolo Itavia non era stata impedita dai ministeri della Difesa e dei Trasporti".
Insomma, quel giorno del 1980 sui cieli italiani si combatteva una guerra tra aerei di nazionalità diverse, libici e americane: una guerra che ha lasciato sul campo i corpi di 81 vittime innocenti. Vittime dell'imperialismo yankee e della subordinazione del governo italiano. Vittime del silenzio e delle menzogne di un'intera classe politica.
Read More
© 2014 Lotta Europea | Distributed By My Blogger Themes | Designed By Bloggertheme9