Lotta Europea

Lotta Europea

martedì 27 aprile 2010

Nei giorni scorsi da tutti i media, italiani e internazionali, si sono alzati solo applausi e complimenti per Sergio Marchionne e il suo piano di ristrutturazione della FIAT: 700 milioni di investimento e trasferimento della produzione della nuova Panda nello stabilimento di Pomigliano.
Fin qui notizie positive, se non per un piccolo, grande dettaglio: la manovra è subordinata alla concessione, da parte dei sindacati e degli operai, di diciotto turni settimanali e di maggiore flessibilità. Peccato che nella fabbrica campana si lavori già anche la domenica mattina...
Apparentemente, i numeri stanno dalla parte di Marchionne: nel 2009, i 21900 dipendenti italiani hanno prodotto 600mila vetture, nello stesso tempo in cui i 6500 operai polacchi dello stabilimento di Tichy producevano 605mila veicoli (Panda, 500 e, per conto della Ford, Ka). Ma cosa nascondono in realtà queste cifre?
In Polonia si lavora su tre turni per 6 giorni alla settimana, solo una parte dei lavoratori è assunto con contratto a tempo indeterminato, lo stipendio medio si aggira sui 400/500 € mensili. In Brasile le cose vanno ancora peggio: a Betim, i 12300 operai (il numero è frutto di una media, dato che varia in continuazione per le entrate e le uscite di lavoratori secondo l'andamento della domanda) hanno prodotto, sempre nel 2009, ben 736mila veicoli, lavorando 44 ore alla ssettimana, per 850 € mensili (neanche 5 € all'ora). A Krgujevac, in Serbia, nel 2011, secondo i programmi, 2500 operai produranno 200mila macchine, per 400 € a mese.
Sono questi i frutti della delocalizzazione delle industrie.
Sono questi gli standard salariali che si vogliono importare in Italia?
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giovedì 22 aprile 2010

Kirghizistan, una rivolta di piazza abbatte il governo di Bakiev, mettendo fine all’amministrazione che prese il potere grazie alla rivoluzione dei tulipani nel 2005, consegnando il potere all’opposizione.
Fin qui una buona notizia, se non fosse che Roza Otunbaieva, leader dell’opposizione e ora capo del governo provvisorio, ha frettolosamente dichiarato che la base U.S.A. di Manas, nevralgica per le operazioni in Afghanistan, resterà aperta e operativa. Si tratta, dunque, di un cambiamento di assetto di potere, del quale gli Usa non dovranno avere paura. Perché mai?
Il Kirghizistan è uno degli stati protagonisti delle tanto acclamate dai media internazionali “rivoluzioni colorate” le quali, grazie al supporto economico e logistico occidentale, attuarono un cambiamento di rotta in tutti quei paesi appartenenti all’orbita russa e stranamente crocevia delle risorse energetiche dell’Asia centrale, ora convinti sostenitori del fronte occidentale e della libertà, tanto da aver già svenduto e privatizzato ogni tipo di risorsa statale alla finanza internazionale. Georgia, Ucraina, Bielorussia, Azerbaigian, Mongolia, Kirghizistan, furono quindi il tentativo americano (in alcuni casi non riuscito) di fare terra bruciata intorno alla Russia, ormai pericolosamente liberata dal cappio del debito internazionale, comprando, con il contributo del filantropo George Soros e dei media internazionali, il consenso delle popolazioni intorno a questi nuovi leader, ancora più corrotti dei precedenti dittatorelli, nonché della comunità internazionale, schierata compatta a favore di queste nazioni in lotta per la “democrazia”.
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sabato 17 aprile 2010

Si sente parlare spesso di radici europee, di origini comuni, di cultura europea, ma in cosa consiste tutto questo? Cosa c’è realmente di simile, di comune tra i diversi popoli europei? È solo di uno spazio geografico che si parla?
Nel dna di questi popoli è inscritto un modello che trascende i confini, supera le frontiere. Tra il IV e il II millennio a.C. il continente europeo fu invaso a ondate da un popolo guerriero, gli indoeuropei, che si stanziò sovrapponendosi alle popolazioni autoctone. Sebbene si diversificarono in famiglie diverse (Celti, greci, ittiti, etc.), essi conservarono lo stesso modello di società, il quale fu l’origine della stabilità e della grandezza della civiltà europea.
Organizzarono la società in tre funzioni differenti e autonome (società tripartita): una parte economica e produttiva, una parte spirituale e intellettuale, una parte guerriera e politica. Le comunità erano l’insieme delle famiglie allargate, rette da un’organizzazione di tipo patriarcale, governate, perché popoli guerrieri, da un’aristocrazia di combattenti (dal áristos "Migliori" e krátos, "Potere"). Un sistema gerarchico, ordinato, meritocratico, dove la politica e il potere rispondevano alla morale (diritto naturale), dove gli interessi economici e la politica non si mischiavano, come restavano divisi politica e religione. E' questo che ci rende simili e partecipi della stessa civiltà, prima di lingua e razza.
Ed è da questo modello che dovremo ripartire, ricordando la nostra identità, riprendendo le redini del nostro destino, liberandoci dal giogo mondialista!
Perché il mondo ha bisogno di pace, il mondo ha bisogno d’Europa!
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lunedì 12 aprile 2010

Qualsiasi organismo terrestre, dal più semplice al più complesso, ha bisogno di quel composto chimico chiamato acqua. Di questa verità alcuni non sembrano convinti.
I governi d’Europa, compreso quello italiano, stanno cercando di privatizzare l’acqua con delle leggi “ad hoc”, come l’art. 15 del d. l. 135/09 nel caso italiano. A sollecitare la “filosofia” dell’acqua privata sono le multinazionali e le élites capitalistiche che imperversano nei mercati mondiali per mezzo degli organismi sovranazionali e dei politici, loro zelanti servi. Primo tra tutti il filantropico Fondo Monetario Internazionale, che per un periodo ha elargito prestiti a condizione che alcuni paesi si conformassero a programmi di aggiustamento strutturale, inclusa la privatizzazione delle risorse idriche.
L’episodio più famoso è accaduto a Cochabamba in Bolivia, dove fu privatizzata anche l’acqua piovana e venne punito chi tentava di raccoglierla. Moltissimi boliviani non potendo sostenere la spesa per avere l’acqua erano costretti a fare inutili sacrifici. Tuttavia il popolo è sceso in piazza assediando la città e ha vinto. Vittoria, quella di Cochabamba, che è costata 6 morti e numerosi feriti. Lo stesso scenario si potrebbe benissimo presentare da un giorno all’altro anche nella nostra Europa. Infatti è stata approvata una Dichiarazione Ministeriale dalla Commissione mondiale dell’acqua che sancisce la vittoria della concezione di acqua come bene di mercato e non come diritto primario e inalienabile degli uomini. Secondo sempre l’alquanto discutibile “dichiarazione”, l’acqua deve avere un prezzo di mercato calcolato e definito sul costo totale di produzione.
L’acqua è un bene primario della vita e ridurla a merce di consumo è tipico del sistema capitalista, il quale sacrifica il diritto naturale e la giustizia all’altare del libero mercato.
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mercoledì 7 aprile 2010


Il mese scorso, gli Stati Uniti, tramite l’Ufficio per il Controllo degli Asset Stranieri (un comparto strategico del dipartimento del Tesoro), hanno annunciato alcune eccezioni per l’esportazione di servizi americani verso Iran, Cuba e Sudan, paesi sottoposti a embargo: la deroga riguarda le esportazioni di “alcuni servizi e software inerenti alla comunicazione personale su Internet”, vale a dire social network, chat, servizi e-mail, blog, siti per la condivisione di immagini e quant’altro. E che non si tratti di solo business, ma di una decisione del tutto strategica, lo dimostra il fatto che la deroga è limitata ai soli servizi gratuiti.

“Un profondo impegno dell’Amministrazione nell’estendere i diritti universali a tutti i cittadini del mondo”, secondo Neal Wolin, numero due del Tesoro, ma anche una decisione ricca di implicazioni politiche: come si legge esplicitamente nel testo del provvedimento, le comunicazioni personali nell’era digitale sono “strumenti vitali per il cambiamento”, e il potere di disporre qualche falla nelle dighe commerciali è “necessario per l’interesse nazionale degli Stati Uniti”.

Con questo provvedimento agli Stati Uniti si aprono le porte per raggiungere le popolazioni dei tre Paesi, “stati canaglia” e “sanguinose dittature”, e, magari, sostenerne l’opposizione e la resistenza al governo oppressore. Una prassi ben sperimentata nell’estate scorsa a Teheran, quando, nel caos del dopo elezioni, i racconti e le immagini delle manifestazioni anti-governative fecero il giro del mondo, eludendo la censura e finendo su Twitter.
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venerdì 2 aprile 2010

L'Occidente non esiste: esso è un amalgama eterogeneo di Paesi, i cui confini non sono segnati né dalla geografia né dalla storia, ma variano nel tempo in base all'ideologia liberal-capitalista e alla geopolitica filo-statunitense dei suoi componenti. Da Ovest ad Est sono Occidente, insieme agli U.S.A., il Canada, l'Europa, la Turchia, Israele, il Giappone, l'Australia, la Nuova Zelanda. In questo elenco, come in alcuni giochi da Settimana Enigmistica, c'è un intruso: quale? La risposta è facile, l'Europa. Ma di quale Europa stiamo parlando?
L'idea di Occidente come comunità di valori si consolida a partire dal dopoguerra: da una parte la N.A.T.O., dall'altra la Russia e il Patto di Varsavia. Due mondi contrapposti e fra loro in guerra (per quanto fredda), il cui confine tagliava l'Europa a metà. A partire dal 1989, con la caduta del Muro di Berlino e la disgregazione dell'U.R.S.S., l'Occidente, a suon di rivoluzioni colorate, ha spinto le proprie frontiere sempre più ad Est. L'Europa ha finito così per perdere la coscienza della propria identità, sostituita da quella di Europa Occidentale. E da qui la nascita dell'Unione Europea, una creatura amorfa che propone l'ingresso alla Turchia, ma continua a considerare altro da sé Mosca, la terza Roma.
Finché l'Europa non riacquisterà coscienza della propria specifica civiltà, della propria unità dalle Colonne d'Ercole agli Urali, della propria alterità rispetto al modello statunitense, finché non si libererà del giogo della N.A.T.O., finché non si doterà di una propria geopolitica comunitaria e indipendente, finché non integrerà nel proprio sistema politico-economico la Russia, non potrà svolgere nel mondo il ruolo di guida e di modello di giustizia che la Storia le ha consegnato.
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