Lotta Europea

Lotta Europea

giovedì 27 maggio 2010

Domenica prossima, i cittadini del Kosovo settentrionale, a maggioranza serba, saranno chiamati alle urne per le elezioni municipali.
Ma i signori dell'Occidente, le anime pure della democrazia da esportare anche con le armi, non riconosceranno i risultati di queste votazioni. I paladini della libertà non riconoscerenna l'esito della sovranità popolare. Un voto irregolare e illegale secondo il governo di Pristina, che non intende collaborare con "istituzioni parallele": un ottimo esempio di dialogo tra i popoli. "La polizia kosovara non garantirà la sicurezza nei seggi" ha dichiarato il ministro dell'Interno del Kosovo. "Consideriamo le elezioni organizzate dalle autorità kosovare le uniche legittime", ha fatto eco Julia Reuter, portavoce del Rappresentante Speciale della UE.
Ma non è tutto: l'Eulex, la missione militare europea nella regione serba occupata, ha dichiarato che d'ora in avanti sarà vietata qualsiasi visita di delegazioni e politici serbi senza autorizzazione. E la neutralità delle truppe mandate sotto l'egida dell'ONU dove è finita?
"Uccidono un popolo. Dove? In Europa. Ci sono testimoni? Il mondo intero". Lo diceva Victor Hugo due secoli fa, lo possiamo ripetere oggi.
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sabato 22 maggio 2010

“Alme Sol, curru nitido diem qui promis et celas aliusque et idem nasceris, possis nihil urbe Roma visere maius!” (Sole divino, che sul cocchio luminoso dischiudi e nascondi il giorno sempre nuovo e uguale sorgi, e nulla maggior di Roma possa tu vedere!).

Il mondo non vide nulla più grande di Roma. Come fu possibile?

Bisogna andare alle origini di questo popolo per conoscere la sua forza, per comprendere la sua potenzialità politica. Già dagli albori l’uomo romano impostò la sua esistenza personale e sociale, assoggettandola ad alcuni principi.

In primo luogo, l’uomo ha bisogno, per vivere serenamente, di rapportarsi con altri, a lui simili (“l'uomo è un animale sociale. Le persone non sono fatte per vivere da sole”, Seneca); perché questo sia possibile c’è bisogno che limiti la sua azione e si faccia dunque carico dei doveri verso gli altri: i doveri, prima dei diritti, sono dunque il fulcro della vita sociale.

In secondo luogo, l’uomo romano era fonte del potere e quest’ultimo non era altro che il mezzo per regolare la vita di uomini di pari dignità: chi amministrava il potere era lo strumento, spersonalizzato, degli dei e degli uomini, il cui scopo era di garantire il bene comune. Non sudditi-schiavi di un semidio come nelle civiltà mediorientali, ma cittadini liberi che autodeterminavano il potere e vi si assoggettavano.

In terzo luogo, l’uomo romano deve percorrere la via delle virtutes: queste erano le qualità che doveva coltivare nella costante elevazione dallo stato di animale a quello degli honores. Onestà, verità, serietà, tenacia, semplicità, coraggio, fedeltà alla divinità e al proprio popolo (“erga deos et homines pietas”, Virgilio): era questa l’educazione della tradizione dei padri (mos maiorum).

In poche parole, Roma fu un sistema di uomini liberi, cresciuti dalle virtù, il cui compito nella storia fu quello di portare ai popoli la civiltà e pacificarli con la legge.
L’Europa che per secoli ha tentato di ricostruirsi romana, deve, oggi più che mai, ritrovare Roma, ridare ordine ad un mondo ormai decaduto, pacificare con la sua civiltà.

Siate europei, siate romani. Il nostro giorno verrà!

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lunedì 17 maggio 2010

Nello scorso intervento abbiamo esaminato il potere assoluto e senza regole delle agenzie di rating: un potere che ha mostrato bene il suo volto in questi giorni di crisi ateniese, quando le Borse europee salivano e scendevano sulla scia delle dichiarazioni effettuate riguardo i conti pubblici di Grecia, Spagna, Portogallo e Italia.
Come fronteggiare questo strapotere?
Con un'agenzia di rating europea, indipendente, che dia valutazioni oggettive sullo stato dei conti di banche, imprese e nazioni, il cui operato non sia influenzato dal mercato e dai grandi gruppi finanziari.
Un'agenzia che ristabilisca il primato del bene comune su quello privato, del popolo sugli oligarchi.
Un'agenzia che ristabilisca il primato della politica sull'economia e sulla finanza.
Un'agenzia che ribadisca l'indipendenza dell'Europa da qualsiasi intereferenza proveniente da oltreoceano.

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mercoledì 12 maggio 2010

Nome: Standard & Poor's, Moody's e Fitch.
Nate: Stati Uniti, un secolo fa.
Professione: agenzie di rating.
Cioè, per definizione, giudicano e danno voti a imprese, banche, stati, comuni:in breve, a chiunque voglia emettere pezzi di carta con i quali cedere una quota della sua proprietà (le azioni), oppure contrarre debiti impegnandosi a pagare gli interessi e restituire entro una certa data i prestiti (le obbligazioni). Chi acquista questi titoli (azioni e obbligazioni) vuole sapere quanto vale il debitore, vuole conoscere la sua solidità patrimoniale, la sua serietà negli affari, la sua capacità di restituire il denaro, in poche parole la sua affidabilità: le agenzie di rating studiano tutti questi parametri e li rendono comprensibili, riassumendoli in voti e pagelle (AAA è il massimo cui aspirare, NR, ossia Not Rated, il minimo dei minimi).
Una cosa è certa: con le loro valutazioni orientano e determinano le scelte dei mercati finanziari, con un conseguente forte e, per certi versi, incondizionato potere di controllo sulle economie e le finanze degli stati.
Come se ciò non bastasse, il loro operato è, in più punti, tutt'altro trasparente.
Può, infatti, essere obiettivo e imparziale un giudizio, se l'esaminando stipendia l'esaminatore? Eppure nel caso delle agenzie di rating, accade proprio questo: chi paga i loro report non è l'investitore (che vuole conoscere i dati), ma proprio il soggetto che emette il titolo e che è sottoposto all'analisi dei propri conti. E così si spiega perché agenzie di rating tacevano quando le banche si riempivano di titoli spazzatura, oltretutto non messi a bilancio, oppure quando assegnavano un voto AAA a Credit Suisse, la quale investiva su derivati che la portavano ad avere perdite di 125 milioni di dollari.
Un ultimo particolare: a chi appartengono queste agenzie? Risposta a questo punto quasi scontata: agli stessi operatori finanziari controllati. Due esempi: Standard & Poor's è un colosso controllato dal gruppo editoriale McGraw Hill, di cui è azionista di maggioranza Warren Buffet, società leader nel settore dei fondi di investimento; Fitch, invece, è della francese Fimalac che sul proprio sito internet si definisce un "gruppo internazionale di servizi finanziari".
Le tre maggiori agenzie di rating hanno ormai un potere immenso, superiore, nella pratica, a quello delle banche centrali o del Fondo Monetario Internazionale: è per questo che abbiamo voluto raccontare chi sono e, in un prossimo articolo, fra 5 giorni, vedremo se non sarà il caso di riformarle davvero.
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venerdì 7 maggio 2010

Mentre le Borse europee calano in seguito al declassamento della Grecia da parte delle agenzie di rating (vale a dire società, come la Standard &Poor’s che letteralmente danno i voti a titoli obbligazionari e imprese in base al rischio di investimento), Wall Street, pur tra alti e bassi, è, da due mesi a questa parte, in attivo. E la Federal Reserve, la banca centrale statunitense, conferma la propria politica monetaria estremamente espansiva, ritenendo evidentemente ininfluenti le future ricadute negative di un’eventuale bancarotta di Atene.
Una crisi del debito di portata europea non può che rallegrare gli operatori finanziari americani: essa infatti spingerà inevitabilmente i capitali europei a lasciare il Vecchio Continente e a ripararsi nei più sicuri mercati di oltre oceano.
Ma non è tutto. In un momento in cui si mette in discussione perfino il progetto originario della moneta unica europea, il dollaro non può che rafforzarsi: certo, questo significherà meno esportazione in Europa, ma coloro che detengono ricchezze in euro, convertiranno ben presto il proprio capitale in dollari, frustando le aspirazioni dell’euro a divenire la moneta di riferimento nelle transazioni internazionali.
E l’altra potenza mondiale, la Cina, guadagna o perde dalla crisi di Atene? La risposta è presto detta: lo spettro di futuri default metterà a tacere le pressanti richieste sulle autorità di Pechino di rivalutare lo Yuan. E intanto le banche cinesi cedono le proprie quote del debito di Grecia, Irlanda, Italia e Portogallo.
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domenica 2 maggio 2010

Teramo, 27 aprile: Gianluca Protino si è tolto la vita intorno alle 7,30 nel carcere cittadino, impiccandosi con i lacci delle scarpe, che usualmente vengono tolti a chi sta in galera (ma nessuno li aveva tolti a lui, che pure era nel reparto di Alta Sicurezza). Era in attesa di giudizio. È il 19esimo suicida nelle carceri dall’inizio del 2010.

Perché tutti questi suicidi? Quale è la situazione delle carceri italiane? Di certo non si può esaurire l’argomento in queste poche righe, ma qualche numero è possibile e doveroso fornirlo.

Nella penisola ci sono 206 strutture carcerarie, con 43000 posti letto regolamentari per 67452 detenuti (di cui una metà circa in attesa di giustizia, quindi, a rigor di logica e a rigor di legge, INNOCENTI): altri 400 ordini di carcerazione e si raggiungerà anche quota 6800 uomini, ossia quella delle persone che si stimano possano essere stipate nelle celle, sacrificando le condizioni di vita dei detenuti. Giorni o al massimo mesi e non sarà più possibile arrestare. Non sarà più possibile condannare. Non sarà più possibile eseguire ordini di custodia cautelare. I delinquenti, anche qualora fossero acciuffati, andrebbero liberati e soprattutto non sarebbero reclusi nelle patrie galere. Il fallimento dello stato democratico, un incubo per le anime belle di questo paese.

La situazione è oggettivamente gravissima. Grave è il rischio della saturazione del sistema carcerario e l’impossibilità di punire i colpevoli di orrendi reati. Altrettanto grave (o forse ancor più grave) è il fatto che esseri umani vengano stipati nelle strutture carcerarie, oltretutto strutture vecchie e fatiscenti.

E non basta più emanare un “piano carcere”, non bastano più i provvedimenti emergenziali. Bisogna scarcerare. Scarcerare, non vi è altra possibilità. Scarcerare, con razionalità, ma scarcerare.

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